Didattica a distanza. Un’occasione per insegnare davvero?

Museo Farfalla
Bambini “vitruviani” in un evento didattico del museo farfalla di Milano

Leggendo le molte testimonianze degli insegnanti sull’esperienza svolta in queste settimane nella didattica a distanza (DaD), un tema centrale si staglia sugli altri: come trovare una linea di condotta equilibrata nella gestione della relazione insegnante-studenti, ossia il punto di equilibrio tra un atteggiamento formale e uno informale.
E proprio della ricerca di questo complesso (e variabile) punto di equilibrio vorremmo ragionare.

Il secolare setting “lezione in classe”, abbandonato oggi a causa del coronavirus, ha un enorme, banale, invisibile e inviolabile vantaggio organizzativo: nessuno studente può andarsene.
Sicuramente non con il corpo, e tendenzialmente neanche con i comportamenti o con i pensieri (questi ultimi più difficili da sorvegliare). Inoltre, all’interno di quello spazio chiuso, ognuno occupa un proprio posto. La lezione in classe garantisce quindi il
controllo.

Una volta consolidatosi attraverso l’introiezione da parte degli studenti, il vincolo “di qui non si scappa” offre all’insegnante una discreta possibilità di scelta riguardo al comportamento da tenere in classe, dandogli modo di sperimentare un proprio “grado di libertà” personale: quanto essere spontaneo o impostato, autentico o formale. L’approccio alla relazione didattica diventa uno spazio di ricerca che può essere indagato senza rischi eccessivi, modulandolo anche nel tempo secondo necessità. 

Ma adesso? Cosa succede quando – nella lezione a distanza – lo spazio d’incontro si frammenta nei molti luoghi in cui ognuno singolarmente vive e dai quali si connette agli altri?
Tralasciamo per il momento – ma solo per il momento, perché la questione è centrale e chiuderà questo articolo – il tema dell’imbarazzo nel rivelare una propria dimensione privata (dove si vive, quali siano i gusti personali nella sfera domestica, quale livello di benessere materiale se ne possano dedurre, ecc.), e restiamo sul tema di come il mutato setting modifichi la gestione dei comportamenti.

Questi ovviamente non sono più “vincolati” fisicamente e gli studenti possono in ogni momento… scappare.
Nelle più diverse forme immaginabili: svincolarsi fisicamente per una qualunque ragione (“la mia sorellina piangeva”); svincolarsi tecnologicamente (“non la sento più, prof”); svincolarsi, spostando l’attenzione su qualcos’altro dentro o fuori lo schermo; svincolarsi consentendosi comportamenti censurati nell’ambiente scolastico: la bibita, il panino, tre
Rollinz per mano e uno nel naso.

Come fare a creare una relazione utile, in queste condizioni?
Dove “utile” non si riferisce tanto alla finalità  fondamentale di tenere coesa la piccola comunità rappresentata dal gruppo classe, ed evitare che tale dimensione sociale vada evaporando nella mente dei bambini lasciandoli riassorbire interamente nell’habitat familiare. Condizione questa a volte regressiva rispetto alle tante esperienze evolutive svolte nell’ambiente scolastico (basti solo pensare all’incontro – mediato – tra tradizioni culturali differenti, possibile solo nelle classi, nei corridoi, in mensa, in cortile).

museo farfalla mesopotamia
Prove di scrittura cuneiforme alla Fabbrica del Vapore di Milano (museofarfalla®)

“Utile” in questo frangente si riferisce al mantenimento di quella preziosa relazione che sta a fondamento della socializzazione del sapere tra esseri umani: l’insegnamento. Che torna a doversi sostanziare della sua dimensione originaria, ossia un adulto sapiente che ha qualcosa da condividere con dei giovani che hanno meno esperienza delle cose del mondo.

Se questa relazione smette di essere obbligata (bisogna stare seduti al proprio banco e non si può uscire dalla classe e dovete impegnarvi in queste prestazioni), non può che divenire una relazione desiderata, altrimenti non ha di che vivere.

Dunque bisogna fare in modo che gli studenti vogliano partecipare alla lezione a distanza. Che pensiero incredibile! Volerlo! Dà quasi le vertigini tanto è lontano dai convincimenti e dalle pratiche secolari della didattica ministeriale italiana. Come si fa a gestire una relazione che deve essere voluta? 

C’è un solo modo: essere sinceri. 

Perché la cooperazione umana che ha fatto evolvere la nostra specie attraverso qualche decina di millenni si basa prevalentemente sulla fiducia. Che non è un valore etico, ideale, “buonista”. E’ un assunto funzionale all’utilità delle relazioni tra partner di una comunità, quelle di base (mi fido del fatto che tu dica che il branco di leoni si è allontanato e possiamo andare a caccia insieme) a quelle più evolute (mi fido che se mi dici che calcolare l’area di una figura piana possa prima o poi essermi utile, questo sia vero).

Dunque occorre essere sinceri e offrirsi alla relazione, convincendo della propria buona motivazione, attraendo l’attenzione, mantenendola, confermandone l’utilità, cooperando creando senso.

Il mio maestro delle elementari, Firenze Poggi, mi raccontava nelle nostre conversazioni sugli esperimenti pedagogici degli anni Settanta, che ciò che lo lasciava interdetto nella maggior parte dei suoi colleghi di allora era che “lasciassero la persona fuori dalla classe”, alla cattedra non si sedeva l’essere umano, ma una maschera, un ruolo. Privi della fiducia nei propri mezzi, gli insegnanti cercavano la loro “forza” nel autorevolezza contrattuale di una relazione pre-confezionata da norme e consuetudini.

Ma oggi è diverso. Cinquant’anni dopo tutti sappiamo che solo una autentica forza interiore (autostima, equilibrio, flessibilità, empatia…) produce un risultato positivo per sé, e di conseguenza per gli altri, e siamo conseguenti anche nel lavoro. Quindi le molte difficoltà che un gruppo di bambini può presentare – assenza di disciplina, comportamenti oppositivi, apatia, vibrazioni interne al gruppo che dissipano attenzione, ecc. ecc. – non vengono più affrontate proteggendosi con decaloghi più o meno condivisi di regole, ma mettendo in gioco tutta la propria energia, le proprie intenzioni costruttive che sono di esempio a come creare condizioni di benessere nel setting scolastico, focalizzandosi sui singoli, sulle loro esigenze e attitudini e mettendole in rete con quelle del gruppo…

O forse no. Forse non è ancora così. E veniamo al punto.
Cosa si guadagna uscendo dalla comfort zone della pratica lavorativa formicolante negli edifici scolastici e divenuta talmente abitudinaria da non riflettere più su sé stessa?

Paradossalmente, le lezioni a distanza, con il loro indebolimento dell’apparato normativo, costringono a ripensare la natura delle relazioni tra docente e studenti.
Si può scoprire – pur nell’affanno progettuale a cui l’emergenza costringe – che i contenuti debbono essere veicolati in modo differente, cercando le ragioni per cui possano risultare interessanti (e questo comporta quasi sempre l’attivazione di una componente emotiva, che può innescarsi in molti modi, a partire dal “calore” della narrazione docente, passando attraverso le analogie tra nozioni lontane e il mondo esperito, fino al coinvolgimento dei vissuti personali di entrambi, docente e studenti).

Si può anche riscoprire la dimensione ludica dell’apprendimento, si può sorridere e persino ridere. Senza per questo aver paura di perdere le redini della situazione.
Perché il gioco è sempre subordinato all’osservanza di regole condivise. Il fratello maggiore che ti insegna a giocare a Uno è una figura estremamente autorevole intanto che ti fa da guida verso il mondo del piacere.

Museo farfalla
“La stella di luce” realizzata durante il racconto di una storia sufi (museofarfalla®)

Il gioco ha regole condivise e anche il rito le ha. Il rito ha lo scopo di far sentire le persone appartenere a qualcosa di più grande della propria percezione immediata di sé. Non si mangia in classe, come non si mangia nel tempio, perché quel momento merita concentrazione, quel tipo di energia (qualunque nome gli si dia) può scaturire solo lì, da quella capacità di focalizzarsi, singolarmente e insieme, uscendo dal normale scorrimento del tempo per prendersi il tempo di sentire. Il senso del sacro è racchiuso quasi tutto in questa “sospensione”. Nel nostro mondo un insegnante motivato può fare comprendere questo “vincolo” speciale – di crescita – almeno tanto quanto ci riesce ognuno delle migliaia di istruttori di discipline olistiche. 

Agganciare l’attenzione, trasmettere energia e motivazione, ascoltare, individuare regole motivate e motivanti, essere sé stessi, sentirsi forti perché veri, onesti (e se non si è onesti nella missione educativa il mestiere dell’insegnante è rubato e va lasciato ad altri), pensare una drammaturgia dell’incontro, in cui ci siano stupore, sfida, scoperta, gratificazione, desiderio di altro, contribuzione, relax…

Questi e altri sono gli ingredienti per andare oltre le difficoltà di un modus operandi imprevisto, sconosciuto e a cui si è arrivati largamente impreparati: la didattica a distanza.

Rischiando peraltro – e questa sarebbe davvero una rivoluzione – di scoprire delle verità sulla bella didattica che torneranno straordinariamente utili una volta tornati tra le pareti di una classe, non più recinzione di un gregge, ma alloggio di una comunità consapevole.

Oliviero Grimaldi

Autore: Oliviero Grimaldi

Oliviero Grimaldi Dopo la laurea in architettura e la specializzazione in visual design presso il Politecnico di Milano, ha completato studi di regia, drammaturgia e scenotecnica. Ha lavorato fino a trent’anni come art director in case editrici, agenzie pubblicitarie e web factories, insegnando visual design e web content management presso l'Accademia di Comunicazione e centri regionali di formazione professionale. Incontrato il mondo del teatro grazie a progetti scenografici, ha intrecciato le competenze progettuale ed educativa al mondo delle arti sceniche. Ha prodotto spettacoli di teatro ragazzi per diverse compagnie, ha condotto per sei anni i laboratori per ragazzi del Teatro Franco Parenti di Milano, è stato fino al 2016 amministratore e organizzatore de “ il Trebbo”, la maggior realtà lombarda di teatro ragazzi, e ha collaborato come regista con il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e la Civica Orchestra di Fiati della stessa città. Dal 2017 è socio co-fondatore della cooperativa sociale “Fosforo”, per cui opera come autore realizzando format didattici innovativi e progetti di promozione culturale e sociale. Negli interstizi ha lavorato come tipografo, illustratore, traduttore, attore, tecnico di palco. Ha un matrimonio alle spalle, una compagna di fianco, due figli propri e due acquisiti davanti.

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